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mercoledì 31 gennaio 2018

Ogni figlio dell'immigrazione come nostro figlio

ragazzi immigrati in Italia


Quando ho deciso di dedicare confessione reporter inverno 2018 ai figli mi sono detta: voglio raccontare i grandi movimenti della cronaca, dell’attualità e le ragioni del mondo (non sarà troppo?) attraverso i bambini e i ragazzi. 

Così ho cominciato col femminicidio incontrando vittime di cui nessuno parla, quei bambini che dopo l’assassinio della madre restano soli al mondo. 
Poi nella seconda puntata ecco i figli dell’Isis, quei poverini portati dai genitori jhiadisti in Siria, strappati alla famiglia e allattati con l’odio e il terrore. Ma anche i piccoli nati in terre di guerre che oggi sopravvivono nella paura dei campi profughi e nelle galere d’Europa con la mamma. 
Mi restava un debito con l’immigrazione
Questo grande esodo dei poveri e dei derelitti verso il nostro paese.  

Come avrete visto dalla tv e dai giornali quelle che scendono dalle navi della salvezza sono ormai facce di bambini stravolte dalla fatica e dal viaggio. 
Una volta arrivavano in Sicilia i diciassettenni. Ora l’età è scesa a 12,13 anni. 
Tante, anzi tantissime le ragazzine nigeriane che vengono spedite da parenti e maledetti pastori in Italia per buttarle nel mercato della strada e della prostituzione. 
Insomma l’immigrazione minorile è aumentata nel 2017 del 60%. 
Un’immensità di figli che lasciano la casa, la terra, la madre, e che da soli affrontano questo viaggio terribile e buio sapendo che potranno affogare.

 “Tanto si muore una volta sola” 
mi ha detto Yousuf  a 14 anni  
“Paura? O muori o ce la fai. In Nigeria ero già morto lo stesso” 

Figli disperati senza illusioni e senza sogni. Solo quello di arrivare sulle nostre coste vivo per riagguantare una vita nuova. Per riprendersi l’infanzia e il sorriso della giovinezza che sarebbe stata stuprata dalla fame, dalla mancanza di futuro. Dalla guerra. 

Così ho dedicato questa terza puntata a “loro”. Ai figli dell’immigrazione che in Libia hanno vissuto nelle carceri e nei tunnel scavati nei prati per scappare alla tortura e alla morte. 

Sayed mi ha raccontato piangendo 
"non avevo più denaro per pagare l’affitto di quelle gabbie maledette dove mi tenevano allora hanno cominciato a strapparmi le unghie e poi a rompermi le ossa. Ma soprattutto a minacciarmi che se non avessi pagato, lavorando per loro come una cane, la mia famiglia in Gambia sarebbe stata sterminata” 
mi ha chiesto di non far vedere la sua faccia, neanche le mani perché “loro” le riconoscerebbero tra mille dopo le sevizie che ha subito. 
“Però, ti prego, racconta la mia storia. Dillo che siamo solo bambini in mano al destino e che cerchiamo solo vita. E amore”
Non ho mai mostrato la faccia ne le mani di Sayed, ma ho raccolto il suo pianto e il suo insegnamento. 

Ogni bambino, ogni figlio del mondo ha diritto alla vita e all’amore. Raccogliete anche voi queste storie di dolore e di rinascita. 
Pensate che dare accoglienza e scuola e carezze a questi ragazzini vuol dire avere felicità anche per voi. 
Per noi tutti. 
Credetemi.


Vi aspetto Venerdì 2 Febbraio alle 00:30 su Rete4 con Confessione Reporter


Stella Pende

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