giovedì 6 settembre 2018

Le carceri della morte in Libia

Immigrati detenuti nelle prigioni libiche


Eccomi appena atterrata dal Niger dove ho lavorato per il mio prossimo reportage di Confessione Reporter. 
Eccomi stremata da un viaggio importante, durissimo ma soprattutto doloroso. 
Permettetemi un briefing per coloro che non conoscono ancora la situazione. 

Il Niger è uno dei paesi più poveri del mondo. Bambini, donne e padri (20 milioni) vivono all’80% con 7 dollari al giorno. Se gli va bene. 
Il Niger non ha sbocchi al mare, ma confina con i paesi (Mali, Burkina Faso, Libia, Algeria, Nigeria e Benin) più caldi dell’Africa. Paesi torturati dal terrorismo, dal traffico di armi e da quello penoso e criminale di esseri umani. 

Il Niger dunque è stato, più che mai in questi anni, una terra di passaggio per molte genti che arrivavano da molte afriche. Popoli sfortunati caduti dentro guerre, fame e impotenza di vivere. 
Poverini, si poverini, che cercano disperatamente di attraversare il deserto per toccare quella terra infiammata da odio e di denaro che è la Libia. E che, nonostante gli echi degli orrori che di quel paese si conoscono, resta ancora nell’immaginario dei disperati il modo più facile per arrivare in Italia. E da li dovunque in Europa. 
Ma la Libia, come solo certi giornali raccontano (primi di tutti L’Avvenire e La Stampa, perché troppi latitano vergognosamente) è diventato un lager universale. 

Gli immigranti arrivati alla frontiera vengono subito rapiti e incarcerati, violentati e torturati da coloro stessi che li hanno accompagnati o aspettati dentro agguati e trappole. Da veri orchi senz’anima. 
La ragione? Sempre e solo il denaro. 

Queste molte atrocità avvengono in quelle che il nostro ministro dell’interno propaganda per luoghi sicuri, aggiungendo che torture e violenze sono solo leggende lunari.
Così per spiegare agli italiani che gli credono e che risponderanno alle mie righe con i brutali insulti d’abitudine, cercherò invece in questi giorni di dirvi delle storie e delle odissee di tanti adolescenti sopravvissuti alle orrende torture e di fanciulle che devono sopportare la vergogna e la pena di aver subito violenze atroci, portando dentro i figli di coloro che le hanno seviziate. Perché io le ho incontrate.  

Vi dirò di ragazzi a cui è stata tagliata la lingua perché non potessero raccontare l’atroce verità del loro calvario. Perché io li ho visti.

Di bambini che hanno convissuto giorni e giorni coi cadaveri delle madri accanto con la vagina sfondata, perché i loro carnefici non si degnavano nemmeno di dar loro degna sepoltura. 
Perché io ho sentito i loro racconti con le mie orecchie. 

Di uomini e donne che hanno bevuto la loro urina e hanno pregato solo di morire presto piuttosto che affrontare altre sevizie. Perché io ho visto i loro video girati con cellulari nascosti perché quelle immagini fossero la memoria della vergogna. 

Insisto. 
Tutto questo é avvenuto e avviene ogni giorno nelle carceri governative e in quelle di miliziani senza scrupoli in Libia. Una realtà che perfino Papa Francesco ha potuto scoprire dalle immagini che gli sono state consegnate. Una verità che ho ascoltato minuto per minuto da  ragazzi e ragazze, da donne e da uomini, selezionati dall'UNHCR (l’alto commissariato per i rifugiati dell’ONU ha avuto il permesso sporadico di entrare in quelle prigioni) come i più vulnerabili, e che sono stati evacuati (liberati) da quelle carceri per essere portati per l’appunto in Niger.

Il lavoro che sta facendo l’UNHCR è unico e mirabile. fa parte di un progetto chiamato ETM (Emergency Transit Mechanism) che dal novembre del 2017 a Luglio di questo anno ha salvato dagli aguzzini libici e dalle loro galere di tortura 1.536 persone che aspettano a Niamey (capitale del Niger) di essere riportati a casa. Oppure di essere assegnati ai vari paesi europei. 
Un corridoio umanitario che dimostra che si può. Che si deve.
Così circa 250 di loro sono già arrivati nella terra d’Europa che pareva più adatta a loro.

Proprio in questi giorni un volo con altri fortunati dovrebbe partire per Niamey. Ma la Libia è ancora a ferro e fuoco. Le milizie del presidente Al Saray e quelle del generale Haftar, che comanda la cirenaica ribelle, hanno ricominciato ad ammazzarsi per spartirsi la torta del petrolio libico. 
A tripoli una bomba è arrivata di fianco all’ambasciata italiana. L’aeroporto principale è chiuso. Centinaia di persone che avevano già visto e sperato la salvezza dovranno aspettare o scomparire per sempre, come accade spesso, in quell’inferno.  

Quello che segue è un video che mostra gli immigrati a Tripoli in fuga dopo il bombardamento di qualche giorno fa. La situazione nei laghetti è allucinante. I carcerieri sono scappati lasciando centinaia di persone senza acqua ne cibo. E i trafficanti di esseri umani non aspettano altro che catturare i fuggiaschi per ricominciare a metterli sui gommoni della morte. 





Stella Pende