sabato 30 novembre 2019

Torna Confessione Reporter! Apre il brivido del gioco tra i giovanissimi



Da domenica 1° dicembre, con quattro appuntamenti in seconda serata su Retequattro, torna Stella Pende: le inchieste di «Confessione Reporter» arrivano così alla 13esima edizione.

La giornalista apre la puntata leggendo: «l’ultima lettera che Fausto ha scritto ai suoi genitori, prima di suicidarsi. Fausto dice di essere prigioniero e che il suo carcere è il gioco d’azzardo».

Per anni - prosegue Pende - eroina, cocaina e pillole sono state le responsabili di tante delle vite spezzate per ragazzini e ragazzine. Oggi le comunità di recupero hanno dovuto organizzarsi per coprire l’emergenza dei malati di gioco, spesso adolescenti e giovanissimi dai 16 ai 27 anni».


«Ma cosa è diventata la vita di un adolescente, rapito da questa malattia che pare inguaribile? Come si fa ad aiutarlo e a fargli ritrovare l’anima? E poi, che giro d’affari ruota intorno al gioco in Italia? È vero che la nostra è la nazione che gioca di più in Europa?» si chiede l’inviata.

illustrazione di un ragazzo che gioca alle slot


L’inchiesta di «Confessione Reporter» compie un viaggio per capire la nuova droga del Millennio. La prima tappa è la struttura di Botticella, accanto a San Patrignano, costruita per ospitare 70 ludopatici, fra i quali molti giovani. Giovani che hanno accettato di parlare del loro abisso e della loro rinascita. Storie da brivido, ma piene di speranza. Tra i testimoni, anche Cesare Guerreschi, l’uomo che prima di tutti, nel 1996, ha capito la gravità della ludopatia.

Per capire quali siano le diverse terapie da adottare per aiutare questi ragazzi prigionieri del brivido del gioco, il programma ha incontrato anche Giorgio Cerizza, psichiatra e psicologo, padre di una terapia rivoluzionaria: dopo una prima fase in cui il ragazzo viene ricoverato nell’Ospedale Santa Marta, a Rivolta d’Adda, il medico ospita i ragazzi in appartamenti dove «dividono la vita, da soli, dove ognuno è l’aiuto dell’altro. Dove il lavoro fuori è obbligatorio».

La serata chiude con il ritratto di una donna che, famosa nella sua terra, ha deciso di dedicare una parte importante della sua vita agli altri, ai poveri, ai dimenticati, alla pace e alla giustizia per i più deboli. É africana ed il suo nome è Akothee. È la show girl più famosa del Kenya: si dedica alle genti del Lago Turkana, torturate dalla siccità, dalla fame e dalle malattie.

Confessione Reporter è un programma di Stella Pende, a cura di Sandra Magliani, realizzato da Videonews.

La Nigerina, Come decolonizzare l’inno nazionale

Bandiera Niger


Per ora non si parla della bandiera. Il tricolore, determinato dalla Costituzione del Niger, rimane quello dell’indipendenza. Si tratta di tre bande orizzontali, rettangolari, di uguali dimensioni che dall’alto in basso prevedono l’arancione, il bianco e il verde. La striscia bianca mediana accoglie nel suo seno un disco di colore arancione.
Il motto, per ora non messo in discussione, rimane quello fissato dalla Carta Costituzionale e si articola col consueto trittico post rivoluzione francese. La fraternità dimenticata, il lavoro confiscato e il progresso che la sabbia fa di tutto per sconcertare. 

Ci sono le feste fisse e quelle mobili che variano a seconda della luna trattandosi di argomenti religiosi. Nel migliore dei casi, queste ultime, sono annunciate da comunicati o, in modo più attuale, tramite messaggi sui telefonini, che contemplano pure le ore da consacrare alle preghiere rituali, per ora fuori Costituzione. Dall’indipendenza, riconosciuta nel 1960 come buona parte dei Paesi africani, tutti questi elementi non hanno subito variazioni ragguardevoli. 

La bandiera sventola negli edifici pubblici e nelle scuole. Alunni e studenti hanno l’obbligo morale di salutarla il mattino e assistere alla sua messa in custodia quando scende la sera. L’arancione e il bianco rappresentano i tipi di deserto che arredano il Paese e il verde ricorda le fertili zone lungo il fiume Niger o nelle oasi. Quanto al disco arancione nel mezzo del bianco rappresenta con tutta evidenza il sole che, assieme alla sabbia, danno continuità alla storia del Paese. 


L’inno invece sì. 

Scritto da un musicista francese l’anno seguente a quello dell’indipendenza, sarà cambiato per renderlo più in armonia con lo spirito della decolonizzazione. Maurice Thiriet, compositore di musica classica e di film et autore del testo,  è scomparso nel 1972. Non ha avuto l’onore di conoscere l’attuale compagine governativa composta da 41 ministri più i consiglieri e gli addetti alle missioni speciali. Non poteva sapere che sarebbe arrivata la spinta del Rinascimento Culturale Nigerino. 
Al nuovo aeroporto internazionale coi nuovi raccordi stradali fanno eco i nuovi alberghi a cinque stelle della capitale e un prossimo centro culturale dedicato al Mahatma Gandhi. I nuovi cavalcavia e università, assieme al terzo ponte sul fiume Niger, gli acquisti di nuovi armamenti e la ratificazione prossima di un accordo di difesa con la Turchia, non potevano evitare il progetto di modificare il testo dell’inno nazionale. Esso appare inadeguato e persino fuorviante nel contesto della lotta senza quartiere contro i gruppi armati terroristi che creano sconcerto e desolazione nel Paese e la regione. 

"Ci sono passaggi nell’inno che sono oggetto di critiche unanime. E’ necessario un inno che possa galvanizzare la popolazione, che si trasformi in una sorta di grido di guerra capace di toccare le nostre fibre patriottiche"
Così spiegava il ministro nigerino del Rinascimento culturale, Assoumana Malam Issa, nella televisione di Stato. 

Visto come vanno le cose in questo ambito, sembra difficile dargli torto. Per ora in agosto, in occasione della festa per l’anniversario dell’indipendenza, si piantano alberi invece di organizzare sfilate militari. Non è detto che questa scelta duri ancora nel prossimo futuro. Cambiare il testo dell’inno dovrebbe implicare un ritorno coerente con la dichiarazione di indipendenza. Il contrario invece accade. Mai come adesso il Paese si trova ostaggio di aiuti umanitari, eserciti stranieri, accordi di iniquo scambio, interessate presenze occidentali, asiatiche, americane del nord e del sud e, colmo della disdetta, la squadra nazionale di calcio che ha perso in casa 6 a 2 contro il Madagascar. 
Certo non si tratta di "essere fieri" e, come recita il testo attuale dell’inno, quando la libertà si è conquistata con lotte e non è stato un affare di riconoscenza al colono. Tutto vero a condizione che, come afferma l’articolo 12 della Costituzione della Settima Repubblica, "ognuno ha diritto alla vita, all’integrità fisica e morale, a una alimentazione sana e sufficiente, all’acqua potabile, all’educazione e all’istruzione nelle condizioni definite dalla legge". Cambiare le parole, come proporrà la commissione nominata per questo scopo, senza cambiare la ‘musica’ nella politica del Paese, non sarà nulla di più che un’arma di distrazione di massa.  



Mauro Armanino
Niamey, Novembre 2019

sabato 16 novembre 2019

Antisemitismo e bombardamenti...Notizie estreme

Gaza sotto il fuoco dei razzi, Palestina


Notizie estreme. 
Di estremo interesse. 

Da una parte i preparativi di un folto gruppetto di estrema destra, fanatici nostalgici di Benito, ma soprattutto feroci nemici dell’ebraismo, che volevano far saltare la sinagoga di Sant’Elsa accanto a Siena. 
Un fatto che dovrebbe, ma non potrà, tappare la bocca agli “ottimisti” che continuano a predicare che l’antisemitismo non sia diventato una vera emergenza in Italia. un’emergenza alla quale giornali e politici, a mio avviso, danno spazi assolutamente irrilevanti. 

Dall’altra i razzi di Israele che hanno colpito un palazzo di Gaza uccidendo 10 persone, compresi bambini, per uccidere un jihadista davvero pericoloso come Abu Al Ata.
“era una bomba a mano” ha detto il solito Nethanyau. Si ma i bambini che abitavano lo stesso condominio, le donne, i vecchi loro vicini che peccato mortale avevano compiuto per meritarsi una morte tanto atroce?
È la solita strategia degli israeliani guerrafondai (perché Israele é piena di amici straordinari, di intellettuali, di persone che difendono giustamente la pace) che sostengono che per liberarsi di un terrorista è lecito sacrificare civili innocenti strappandogli la vita. 

Risultato: 200 razzi dei palestinesi sui poveri e innocenti civili israeliani.




Stella Pende

sabato 9 novembre 2019

Liliana Segre sotto scorta. Io mi vergogno



Io mi vergogno di essere italiana. 
So che Liliana Segre, donna comunque nobile e moderata, invita chi ha già pronunciato tali parole a non umiliare mai le nostre radici e la terra d’Italia. Onore a lei. 

Ma io non ce la posso fare. 

Mi sento umiliata proprio come cittadina italiana dalla barbarie bruta, dalla ferocia, dalla stupidità che corre in quelle minacce in rete contro di lei, contro il suo essere ebrea, contro il dolore e la solitudine che questa donna speciale ha sopportato senza mai cadere nella voglia di pietà, né di vendetta. 
Mi sento violentata dalla realtà che una signora, si una signora di 86 anni, sia oggi costretta a vivere i suoi giorni accompagnata da una scorta che la protegga contro una dannazione dalla quale questo paese non riesce a pulirsi, a separarsi: l’odio razziale. 
Un "alien" che schizza fuori dai cori di giovani folli, che lascia la sua impronta sui muri di piazze e vie. 

Un alien che cova perfino nelle vene della nostra politica.


Stella Pende

lunedì 28 ottobre 2019

Nel Sahel la chiamavano Trinità

primissimo piano di Padre Armando Armanino


Ascoltate un missionario che di immigrazione se ne intende. 
Padre Armanino vive in Niger da decine di anni e ci dice:
                                                
Questa formula è applicabile al Sahel ma non solo. La trinità in questione si è dapprima insinuata nei discorsi, poi nei rapporti ufficiali delle Agenzie Importanti del settore e infine in progetti finanziati nella messa in pratica del discorso. La lotta contro il terrorismo, il crimine organizzato e la migrazione irregolare formano, con malcelata strumentalizzazione, un trittico nel processo di falsificazione della realtà in atto da almeno un decennio. Terrorismo, crimine e migrazione irregolare costituiscono un'unica minaccia capace, a dire degli specialisti, di giustificare le misure di controllo adeguate e proporzionali al pericolo. Ed è così che si è andato costruendo un sofisticato sistema di dissuasione per migranti e rifugiati che, secondo quanto è loro rimproverato, osano cercare un futuro diverso altrove. Assimilati come sono dalle Grande Agenzie Internazionali a meri terroristi e criminali si trovano derubati in viaggio, respinti, detenuti e infine inviati nei campi di ‘rieducazione’. 
Questi centri sono chiamati, con un certo eufemismo, di libero rimpatrio dall’ineffabile e inesorabile OIM, l’Organizzazione per le Migrazioni Internazionali (Interrotte) che li crea e gestisce. Il discorso in questione è non solo diventato di patrimonio pubblico ma è presentato come un’ovvietà che solo ingenui militanti di frontiere mobili possono ancora sostenere. La prova è che tutti i finanziamenti dei progetti dell’Unione Europea nel Sahel implicano questa lettura da pensiero unico dominante. Ogni tentativo di presentare ai ‘benefattori’ un progetto a carattere umanitario che non implichi questa inscindibile trinità non solo sarà visto con sospetto ma non avrà la seppur minima possibilità di essere finanziato. 
Assieme alla trinità arrivano le sigle, incomprensibili ai più, che aiutano a realizzare quanto i locali non posso da soli realizzare. Quelli che si definiscono aiuti e operazioni di partenariato non sono in realtà che operazioni mirate di graduale ricolonizzazione di territori che un tempo si volevano indipendenti. Da FRONTEX, che significa le frontiere esteriori dell’Europa, ormai ben fissate, per quanto ci concerne, nei dintorni di Agadez, si passa co disinvoltura a EUCAP. Quest’ultima invenzione, che riprende un’impronunciabile frase in inglese, non significa altro che una missione di sviluppo delle capacità in Niger, gestita dal servizio di azione esterna dell’Unione Europea. Per entrambe le Agenzie in questione i fondi messi a loro disposizione sono aumentati e con loro anche l’operatività. Una di queste, che mira a sostenere il Niger nella lotta contro il terrorismo, il crimine organizzato e (naturalmente) la migrazione irregolare, si chiama nientemeno che CMCF.
La fantasia che non è più al potere per raccontare un mondo nuovo è stata invece confiscata dalle sigle delle Grandi Agenzie Internazionali che in questo modo creano una realtà parallela a quella reale.  La Compagnia Mobile di Controllo delle Frontiere (CMCF) che, come l’enunciato suddetto indica con chiarezza, si propone come strumento al servizio della mobilità selettiva (soldi, armi e interessi circolano mentre i poveri sono sedentarizzati). Il finanziamento arriva dalla Repubblica Federale di Germania e il Regno dell’Olanda. Questa è una delle 16 missioni che rilevano della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) che, senza alcun dubbio, contribuisce alla pace, alla stabilità e soprattutto alla sicurezza internazionale. Questo e altri miracoli scaturiscono dall’applicazione del dogma trinitario di cui sopra.  
Une delle telefonie mobili del paese ha ben capito l’antifona e, tramite un messaggio gratuito invita a…ricevere le informazioni sulla salute, l’oroscopo, l’attualità, lo sport, le astuzie, la religione e le farmacie di guardia…basta digitare il 512 nella compagnia MOOV. Ad ognuno le proprie sicurezze.

Mauro Armanino
Niamey, Ottobre 2019 



mercoledì 23 ottobre 2019

In Amazzonia preti sposati

Papa Francesco in Amazzonia
Crediti immagine di Il Fatto Quotidiano
 

A proposito del sinodo sull’Amazzonia aperto da Francesco Domenica 6 ottobre (negli ultimi 18 mesi di lavori  80.000 cittadini amazzonici sono stati consultati tra esperti, indigeni e professori) pochi si sono accorti di un dettaglio che rischia di cambiare nelle vene  più profonde il “corpo” della nostra santa romana chiesa. 

Tra le sottane rosse dei vescovi convocati per il sinodo corre infatti un venticello di voci e di rumori... il Papa potrebbe accettare, finalmente, di ordinare in Amazzonia persone già maritate affinché gli indigeni più toccati dalla tragedia della loro terra violentata da fuochi e altri veleni, possano più facilmente assistere alla messa e ricevere la comunione. 
Il vuoto di sacerdoti sta lasciando i cristani di Amazzonia soli, poveri e senza alcuna consolazione religiosa. Ma non basta! Poiché sono le donne coloro che nelle comunità cristiane indigene si danno più da fare per assistere, curare e lavorare (guarda caso) non è escluso, anzi è molto possibile, che saranno anche loro ad avere un ruolo fondamentale e di leadership nei progetti di vescovi e dei loro consulenti.  

Insomma dovevano arrivare i poveri indigeni dell’Amazzonia, doveva incendiarsi la giungla pluviale più grande del mondo, affinché il Papa Bergoglio e i suoi prelati capissero che è arrivato il tempo, nella foresta, ma pure in Italia, dove anche i preti con famiglia fossero i benvenuti. 

Non è affatto raro che nelle nostre città, nei paesi del sud, ma anche nell’alta Italia, sparuti gruppetti di religiosi, immacolati e superstiti, corrano la domenica affannati da una chiesetta all’altra per non lasciare orfani di liturgie, quei pochi e sinceri devoti che gli restano. 

Una decisione, se ci sarà, che non sarà priva di proteste e di polemiche.


Stella Pende

martedì 8 ottobre 2019

Lesbo: un inferno dimenticato

padre immigrato con il suo bambino dopo incendio del campo di Lesbo


Le tensioni tra i membri vip del governo (chi più ne ha più ne metta) hanno leggermente fiaccato le polemiche sull’immigrazione. 

Gli sbarchi continuano in Sicilia e nei porti italiani. 
Ma lo sguardo dei nostri politici non va oltre i lembi della nostra penisola. C’è infatti un fazzoletto di terra greca sul quale l’attenzione di noi italiani, in quanto tali, si accende molto raramente: l’isola di Lesbo. 

Qui nel campo profughi più grande d’Europa dopo l’incendio cattivo scoppiato una settimana fa, centinaia di famiglie si sono trovate senza cibo, senza assistenza, senza uno straccio di tenda, qui centinaia di figli si ammalano per la denutrizione, per le infezioni, per l’acqua lorda che sono costretti a bere….tutto questo nel silenzio del mondo. possiamo star zitti anche noi???



Stella Pende

giovedì 3 ottobre 2019

Sono per l'eutanasia e per la vita

eutanasia, infermiera taglia la flebo di un paziente


Come è bello e coraggioso l’articolo di Antonio Scurati sul Corriere della Sera! 
Vi invito a leggerlo e a rileggerlo.  

Vi regalo i pezzi più importanti. almeno per me. 
"Io sono per l’eutanasia perché sono per la vita”
 scrive colui che considero uno dei grandi scrittori di questo tempo.
 "Chiunque si opponga alla facoltà dell’individuo di decidere della propria vita, lo fa in nome di un principio cui quella vita viene subordinata, togliendole libertà, sovranità e libertà...
le corsie degli ospedali, lontane dai riflettori, straripano di casi in cui il moribondo è ostinatamente sottoposto a indicibili sofferenze  che devono inutilmente  prolungare ila loro sofferenza... quante volte disperati, estenuati, schiantati ci siamo augurati segretamente la morte di un padre, di un amico, di un fratello terminale e poi ne abbiamo portato il rimorso per tutta la vita!"



Stella Pende 

lunedì 30 settembre 2019

Se sono cinesi non importa

Scontri tra polizia e manifestanti a Hong Kong


Si parla tanto delle meravigliose manifestazioni dei ragazzi verdi! 
C’ero anche io l’altro ieri insieme a queste facce di bambine e bambini, ho visto tanti piccoli in carrozzella con le loro mamme, e spero che visto che il mondo è ormai sottosopra, davvero gli adolescenti del pianeta possano fare di più di quello che non abbiamo fatto noi. 

Voglio ricordare pero’ che il 19 settembre Amnesty International ha parlato di una sua indagine con notizie terrificanti sulle violenze della polizia sui manifestanti di Hong Kong. 
"Prove di tortura e molti violenti abusi prima e durante la detenzione, anche contro poveretti che non opponevano alcuna resistenza”

Che ormai alla Cina venga perdonato tutto (dal mangiare i cani alle torture) i nome della supremazia economica, lo sappiamo tutti. Ma che i media italiani non abbiano sprecato una riga su quest’ennesima dissacrazione della costituzione gialla, mi fa davvero arrabbiare. 
Tanto noi italiani siamo pronti a parlare e ad eccitarci sui forestieri fenomeni della moda, di quelli della cucina, della salute, del cinema…tanto non ce ne importa un ben amato nulla delle violazioni ai diritti dell’uomo. Se questi diritti varcano le alpi. 
Peccato!


Stella Pende

martedì 17 settembre 2019

Allerta rossa nel Sahel. A un anno dal rapimento di padre Gigi

Padre Gigi Maccalli con i bambini africani


A un anno dalla scomparsa di Padre Gigi Maccalli, il missionario rapito un anno fa a Bomoanga, a 125 chilometri dalla capitale del Niger Niamey, nessuno sembra parlarne più.

Voglio condividere con voi un'intervento di Padre Mauro Armanino, molto chiaro, diretto e commovente. 

In Argentina si parlava di ‘desaparecidos’, scomparsi senza lasciare traccia. Durante il mio soggiorno a Cordoba, uno degli epicentri della repressione militare, avevo avuto modo di conoscere alcuni famigliari degli scomparsi. C’era in loro il doloro sordo di un’assenza inspiegabile e del sospetto che il congiunto fosse ancora tenuto in ostaggio da qualche parte. Oggi, 17 settembre, è passato un anno esatto dal rapimento di padre Gigi Maccalli, compagno di viaggio nella nave di sabbia del Sahel. Lui, un lanciatore di allerta di quelli autentici. Lui che, con la sua comunità, ha complottato per rendere di nuovo ‘pericoloso’ il vangelo che ci ricorda che siamo umani. Perché in ultimo di questo si tratta nel Sahel come altrove nel mondo. Portato via una notte di settembre dopo le vacanze, dopo aver fatto scavare pozzi, accompagnato ammalati in città, aperto scuole, cliniche e un fragile centro di aiuto per bambini mal nutriti. Lui che parlava la lingua del suo popolo e che dal suo popolo era stato colonizzato. Aveva inaugurato con fierezza una cattedrale contadina che lui considerava con ingenua fierezza la prima ‘Basilica del Sahel’ fatta di sabbia e di sogni inesplorati. 
Le allerte accompagnano ormai la vita dell’Occidente e, senza darlo a vedere si sono propagate dappertutto. L’inutile allerta per le inondazioni che solo nel Niger ha causato la morte di circa 60 persone e ha creato miglia di sfollati. L’allerta per gli attacchi dei terroristi che ha portato al prolungamento dello stato di urgenza in tre regioni del Niger, la chiusura di scuole e l’arresto del servizio sanitario di base per migliaia di poveri. L’allerta indirizzata ai cittadini di origine europea tramite una cartina che colora di rosso il Paese intero con eccezione della capitale e di una striscia che si avventura verso la frontiera del Benin. Una zona tassativamente sconsigliata o vietata ai cittadini europei. C’era invece a Genova e provincia l’allerta gialla per possibili precipitazioni a carattere temporalesco. Sono, infine, sempre più diffusi i cartelli che allertano e invitano i cittadini a fare attenzione perché l’area in questione è sotto sorveglianza video. Si allerta per dare sicurezza a cittadini che sono stati preventivamente paralizzati da angoscianti notizie su possibili infrazioni all’ordine pubblico. Le società hanno fatto delle allerte un sistema di controllo globale.
Le allerte dovrebbero essere ben altre e padre Gigi ce lo ricorda. L’allerta della grande guerra contemporanea che è la fame, quella delle disuguaglianze abissali che rendono ancora più profondo il fossato tra il Nord e il Sud del mondo. Per l’apartheid globale che divora i poveri e li vende per un paio di aiuti che ne perpetuano l’esclusione. Per il tradimento che continua a perpetrarsi tra chi ha il diritto alla mobilità e chi, invece si trova nell’immobilità dei cimiteri di sassi e di mare. Sono infatti 25 la settimana i migranti in Africa a morire prima ancora di raggiungere la riva del mare dove li attente l’altro battesimo senza nomi da nomi. Padre Gigi è lui stesso, assente, presente, scomparso, prigioniero, ostaggio, perduto, libero, silenzioso e assordante, l’unica allerta che meriti questo nome. La sua vita invisibile è l’allerta che grida nel Sahel l’ingiustizia degli ostaggi della miseria che arma il vuoto creato dalla dignità confiscata ai poveri. La sua è l’allerta di chi ha tradotto il silenzio in grido per chi, come lui, è stato portato via dall’astrazione di una religione resa ideologia perdente di potere. Di questo dovremmo dare l’allerta. 
Da gennaio a luglio di quest’anno, secondo un rapporto dell’ONU, nella sola regione di Diffa nel Niger sono scomparse 179 persone e tra di esse 44 donne. Per alcuni è stato pagato il riscatto mentre altri sono scomparsi alla maniera di padre Gigi seppur di religione diversa. In realtà quei contadini, poveri e senza volto, diversamente da lui, erano già scomparsi dalle priorità delle politiche del Paese. Di loro e di questo mai nessuno ha dato l’allerta. ‘Liberate padre Gigi’, scrivono i suoi amici di Crema, Genova e Niamey la capitale nel Niger. Ora l’allerta sta tutta nelle nostre mani e solo possono declinarla gli insorti.
Ed è per allertare che, nella diocesi di Niamey,  quest’oggi non si celebrerà la messa da nessuna parte. 

                                                                                             Mauro Armanino, in treno, settembre 2019

martedì 10 settembre 2019

Evviva la terza media!

Teresa Bellanova ministro dell'agricoltura italiana


Quanto dovrebbero imparare i professori di politica dalle lingue tinte di polonio, i giornalisti  e i direttori di giornalisti fabbricatori di odio, i superlaureati e masterizzati che palleggiano  quotidianamente con insulti, bestialità ed ignoranze...
si, quanti di loro dovrebbero imparare dalla femminilità, dall’intelligenza e dall’ironia di Teresa Bellanova neo ministra dell’agricoltura! 

Teresa non avrà nel suo curriculum un master alla Columbia University di New York, ma un lontano passato condito di macchine agricole e di amici braccianti, ma con la sua terza media si è mangiata a burro e sugo tutti i caproni da oscar che l’hanno derisa sui social, ormai fogna favorita di rifiuti umanoidi. Erbivori cornuti che hanno sfottuto la sua bassa cultura e le calze azzurre, troppo ordinarie del suo abito ministeriale! 

Cara Teresa togliti la soddisfazione di fare un esame sulle capitali italiane ai più, e ai meno, illustri dei tuoi colleghi dal parlamento in giù, e scoprirai che gli stessi che chiacchierano i tuoi volant confondo il Molise con il Trentino….credimi!

Dunque Welcome Teresa! E sappi che  il tuo azzurro, color del cielo più bello, ha illuminato il cuore di tutte noi. 
E tutte siamo con te!



Stella Pende

domenica 8 settembre 2019

Calci a un bambino: era immigrato

bambino africano di spalle


Ieri è stato trovato il nome e “la faccia” dell’uomo (può il signore chiamarsi tale?) che ha preso a calci un bambino di tre anni che aveva compiuto il crimine di accostarsi alla carrozzina del loro figlioletto. Il problema dell’Italia è l’immigrazione o la ferocia della stupidità?

Qui la notizia in un articolo di Fanpage.it



Stella Pende

martedì 3 settembre 2019

Rapimento e vergogna! Diteci la verità su Silvia

Silvia Romano guarda il tramonto africano

Inquietante! 

Dopo 9 mesi dal terribile sequestro di Silvia Romano, volontaria della Ong Africa Milele a Chakana, villaggio del Kenya, la corte riunita a Malindi nel processo del 30 agosto ha cambiato incredibilmente l’imputazione degli attori materiali del  rapimento. 

Colpo di scena! 
Da colpevoli di rapina a responsabili di crimine ai fini di terrorismo. 
Perché, i tre criminali, lontani dall’essere delinquenti comuni in cerca di denaro facile, come hanno predicato sempre le autorità keniote, hanno seguito invece alla lettera il piano molto studiato di Al Shabaab, i più feroci fra i terroristi africani. 

Silvia sarebbe insomma nelle loro mani come ostaggio in Somalia! Si, è questo l’ultimo sospetto e l’ultima notizia che esce da questo processo burletta dove, è evidente, il governo keniota si è voluto lavare le mani da un crimine che aveva infangato la loro terra.

Al proposito ecco qualche domanda:
Ma perché i kenioti hanno impedito ai nostri investigatori e ai carabinieri dei ross di indagare e di “cercare” Silvia subito dopo il rapimento? 
Inoltre come si spiega che i tre colpevoli, tra l’altro rei confessi, sono stati lasciati fino al 30 dello scorso mese in libertà vigilata?
Come potevano ladruncoli comuni pagare una cifra così alta per la cauzione? 
Ma poi, è una fonte molto autorevole che lo ricorda, non è forse vero che i nostri investigatori avevano sospettato da subito che quella poverina fosse stata trascinata in Somalia? 

Queste e altre domande si sono perse nel vento caldo della Dachota Forest, dove i signori kenioti hanno indagato, seguito, perlustrato con droni, loro dicono, con il risultato che mai silvia è stata riportata alla sua straziata famiglia e alla vita. 
Eppure importanti segni del suo passaggio sono stati trovati nell’area del campo profughi di Dadaab, fucina di terroristi. Nella boscaglia le sue treccine bionde, riconosciute dalla parrucchiera che gliele aveva applicate e anche il ciondolo dell’Africa che portava al collo…come se, povera Silvia, avesse voluto lasciare tracce di sé…. un Pollicino senza favola che non abbandonava le speranze di esser ritrovato. 

Una speranza, per favore, che deve diventare anche nostra. 
Una speranza che non deve più affondare nel silenzio e nelle infami polemiche sui volontari delle Ong che dovrebbero starsene, secondo la nostra Lega, a casa loro, invece di andare in giro per il mondo a fare guai! 
Vergogna! 

Silvia non è solo figlia di questo tempo pieno di giovani meravigliosi dediti alla cura degli altri. Potrebbe essere anche figlia di ognuno di noi. Anche figlia dei signori e delle signore della lega. non dimentichiamolo. non abbandoniamola.

martedì 25 giugno 2019

Confessione Reporter è Anima Animale

Disegno lupo da Confessione Reporter


Quante volte ci siamo chiesti, o ci hanno chiesto, che cosa sono davvero gli animali?
E ancora: quanto loro assomigliano a noi? 
Possono forse gli animali provare sentimenti, odiare, amare, proteggere la propria famiglia, avere rivalità, essere gelosi, ansiosi, cattivi, conoscere i loro amici o riconoscere i nemici....
questioni che rimangono da troppi anni insolute e pericolosamente sfiorate solo da biologi ed etologi fra i più avventurosi…
Ma poiché amo, conosco e guardo al mondo dei nostri compagni animali da sempre, poiché divido la mia vita con loro e godo delle loro meraviglie, ho deciso di dedicare proprio a “loro” questa quarta puntata di Confessione Reporter. 
Non solo! di trovare per il nostro reportage un titolo francamente e felicemente provocatorio:

Anima Animale.

So che le capigliature degli scienziati conservatori avranno improvvisi e scandalizzati impennamenti!
Meglio e finalmente!

Gli scienziati coraggiosi e geniali che invece hanno ispirato questa mia “ricerca” (primo fra tutti Carl Safina autore di “Al di là delle parole” pubblicato da Adelphi) hanno passato vite intere ad osservare mammiferi e uccelli, cefalopodi (polpi), e balene…  e il loro verdetto è commuovente e sapiente:
Loro non sono nostri fratelli, nemmeno nostri sottoposti, sono altre nazioni catturate insieme a noi nella rete della vita e del tempo, prigionieri con noi nello splendore e nel travaglio della terra.

Dunque la puntata che vedrete stasera vuole finalmente guardare il mondo che sta fuori di noi. Dove gli esseri umani non sono altro che una specie tra altre specie. Dove l’uomo non è la misura di tutte le cose. Perché anche gli esseri animali hanno la loro misura.

Un consiglio?
D’ora in avanti sarà più giusto cambiare la solita domanda: 
non più cosa sono gli animali, ma chi sono gli animali?

Infine una promessa: per chi vuole capire di più sugli uomini e sulle creature meravigliose che intrecciano con noi il destino e il pianeta questa puntata è imperdibile.

Vi aspetto.



Stella Pende




lunedì 24 giugno 2019

Auguri Natalia

Ritratto fotografico Natalia Aspesi


Natalia Aspesi compie 90 anni. La sua intervista su Repubblica dimostra che, arrivati a quell’età, puoi finalmente concederti  il lusso di dire la verità. 

Natalia è stata, ed è, la più di tutti. E di tutte. Natalia è “oltre”. 
Ha scritto di cronaca come pochi. Lasciando il suo tatuaggio su storie piccole e grandi, diventate con lei tutte grandissime. 

La Aspesi non ha mai dimenticato che la calamita per tirar dentro il lettore deve essere una scrittura pensata, diversa, infiammata. La bella scrittura insomma.
E lei non si è ma abbandonata alla pigrizia della penna neppure se si occupava di guepiere. 

L’errore che troppi fanno infatti è quello di credere che scrivere di costume sia alla fine più facile e più modesto. Niente di più fesso. Chi si è occupato di costume, come Natalia ha fatto spesso, deve volare. 
Lo ripeto: non può adagiarsi nella banalità e nel grigio neppure in una riga. 
I giornalisti che raccontano la politica e l’ economia hanno una notizia da plasmare e da spiegare, hanno un’ intervista da scrivere... e pace. 
Chi deve far capire cosa accade nella società e nella vita di un tempo deve essere invece uno scrittore eccellente. e lei lo e’ sempre stata.

Auguri Naty


Stella Pende

venerdì 21 giugno 2019

Rettifica dalla puntata di Confessione Reporter del 18 Giugno

post it di scuse


Scusandomi per l'imprecisione relativa alla creazione di Romit TV andata in onda nella puntata di Confessione Reporter dedicata alla Sindrome Italia, pubblico di seguito la rettifica inviatami dall'editore.

Gentile Collega,vi scrivo dalla redazione di Romit TV ,ci complimentiamo per il servizio andato in onda, che denuncia una problematica ormai cronica della Sindrome Italia. Il consiglio di Amministrazione ci teneva sottolineare, che nella puntata si diceva che Avvocato Germani aveva aperto una televisione, il ciò non è nei fatti la realtà. Romit TV nasce nel 2009 dalla fondazione dell'Associazione Romit TV di cui io ne sono editore, con oltre 100 associati, Avvocato Germani ha condotto una rubrica legale,ma non ha mai ne fondato, ne fa parte la Romit TV.Questo giusto per correttezza delle persone che prestano volontariato in questo gruppo anche se non compaiono nella citazione.
Ti ringrazio e Buon Lavoro. 
Emanuele Latagliata 
Presidente Romit TV

martedì 18 giugno 2019

Sindrome Italia, la neofollia che colpisce le badanti



Quante volte abbiamo sentito parlare di badanti, o infermiere che dir si voglia, che  maltrattano i nostri poveri vecchi? 
Quante immagini orrende abbiamo visto su siti e televisioni che ci raccontano la ferocia di certe donne dell’est, dette romene, che schiaffeggiavano e malmenavano gli anziani d’Italia? 

Nella puntata di stasera di Confessione Reporter scoprirete invece una verità a troppi sconosciuta. Una verità che si chiama “sindrome Italia”
Una nuova malattia, anzi una neofollia, che colpisce badanti romene e moldave dopo anni e mesi di lavoro in Italia. 
Lavoro massacrante. Senza sonno. Spesso senza cibo. 24 ore su 24 senza riposo. 

Così per raccontarvi la tristezza e il dolore di queste donne sono andata a Iasi, città della Romania dove nell’ospedale di Socola medici esperti e compassionevoli curano le loro concittadine dopo terribili crolli di nervi. donne spossate che hanno paura di parlare, di confessare le loro fatiche. Donne che lasciano figli orfani di madri, e che per questo si ammalano di nostalgia. Figli che troppo spesso preferiscono rinunciare alla vita piuttosto che sopravvivere con l’ossessione che diventa l’assenza di una madre.

So già che questo reportage fabbricherà reazioni di benpensanti che condanneranno e negheranno racconti e storie. Ma il reportage, come ho già ribadito alla solita mangiatrice di social che mi critica spesso sulla rete, hanno il privilegio di mostrare le prove.
I reportage, come questo, fanno sentire le voci, fanno parlare il dolore negli occhi. i reportage come questo infilzano il cuore anche a coloro che non vogliono ascoltare ne’ vedere. 


Stella Pende


martedì 11 giugno 2019

Assessorato ai Bambini, di Piero Abbruzzese

Piero Abbruzzese con bambini africani


Piero Abbruzzese è uomo e medico supremo. Come cardiochirurgo infantile ha operato centinaia di neonati inoperabili all’ospedale Regina Margherita di Torino dove era primario e oggi assiste, e cura altrettanti piccoli malati nel suo ospedale pediatrico in Somaliland. 

Un sogno da sempre rincorso e da 4 anni per lui avverato. 
Come leggerete Piero propone oggi un assessorato per i bambini. Chi più dell’Italia ne avrebbe bisogno? 
Leggete per favore il suo progetto e aiutatemi a diffonderlo.




Assessorato ai bambini
senza portafoglio (i soldi li procuriamo noi)

Un esperimento come l’Assessorato ai Bambini sarebbe un tentativo di evoluzione del nostro modo di pensare (e per me sarebbe lo sviluppo naturale di un percorso di vita umana e professionale).
È essenziale focalizzarsi sui bambini perché troppo spesso le loro esigenze e i loro potenziali vengono dimenticati nell’ambito del dibattito politico. 
A cosa servono la politica e l’amministrazione della cosa pubblica se non a garantire un presente e un futuro migliori a tutti e specialmente ai cittadini di domani?

L’Assessorato ai Bambini può dare una mano. 
Non farà niente di utopico ma concepirà misure concrete che devono trovare il giusto spazio nei programmi di governo. 
Ve ne posso citare alcune.
Ad esempio, sentiamo spesso dire che siamo un paese di vecchi; cosa si può fare concretamente per aiutare la crescita della natalità.
• Il calo della natalità in Italia ha cause diverse da quelle banali e discriminatorie di cui ogni tanto si sente parlare. Non c’è perché le donne lavorano o non vogliono avere figli. Li vorrebbero, ma le famiglie non possono sostenerne i costi e non hanno gli aiuti di cui avrebbero bisogno. 
Ecco alcune misure semplici ed efficaci che potrebbero incentivare la natalità:
- ridurre o togliere le tasse alle famiglie che hanno almeno tre figli;
- ridurre l’IVA al 4% per i prodotti essenziali per il neonato;
- invece di parlare di reddito di cittadinanza, aprire il dibattito sul reddito di natalità e ripensare il “bonus bebè “.
- affrontare la questione asili nido. Favoriamo lo sviluppo degli asili nido redistribuendo adeguatamente i fondi per la famiglia (Gabbanelli) per ridurre il costo medio della retta dell’asilo nido, offrendo incentivi alle aziende che si dotano di un asilo nido interno. Pensiamo alla possibilità di detrarre le spese per le baby-sitter. Occorre uno sportello regionale per aiutare le famiglie a detrarre quelle spese e, a livello nazionale, una semplificazione e razionalizzazione degli aiuti.
• Abbiamo parlato delle esigenze dei bambini e delle famiglie, ma come detto, dobbiamo concentrarci anche sul futuro dei bambini.
Dobbiamo anzitutto modificare le scuole e cercare di rendere coerente l’istruzione con gli sbocchi lavorativi esistenti a partire già dalla scuola secondaria.
Servono delle misure per incoraggiare il contatto tra studenti, professionisti e aziende.
- Pensiamo ad incentivare gli stage in modo da offrire degli strumenti concreti ai giovani per aiutarli a trovare la loro strada, valorizzando al contempo quelli che sono i campi in cui la nostra regione e il nostro paese possono eccellere. Pensiamo all’artigianato, al turismo all’arte, alla cucina, al design e a tutto il Made in Italy.
- creiamo programmi per una seria implementazione della conoscenza delle lingue.
- focalizziamoci sulla solidarietà, promuovendo tutte le iniziative solidali in Italia e all’estero e incentivando il servizio civile, cosicché il Piemonte possa essere un punto di riferimento in questo senso. 
La scarsa sensibilità verso i bambini si vede in Piemonte con l’atteggiamento della giunta regionale nei confronti dell’Ospedale Infantile Regina Margherita. Ridurre i posti letto e accorparlo ad un’Azienda unica di eccellenza sono procedimenti opposti a quelli che bisogna fare. Valorizzare il nostro ospedale di eccellenza dei bambini, essere orgogliosi del nostro Brand, delle associazioni e fondazioni che lo sostengono, pensare a un futuro col Regina Margherita leader della “bambinizzazione” (umanizzazione dei bambini) e dell’unione fra professionalità e accoglienza, pensare a un ospedale che richiami bimbi da tutta l’Italia e il mondo sono primi passi di una politica attenta ai bambini. 
Queste sono alcune delle misure da portare avanti creando una struttura trasversale che sia mediatrice in giunta e in consiglio regionale. Questo struttura, questo cantiere l’ho battezzato “L’assessorato ai bambini” perché sono convinto che questo termine riassuma il significato profondo delle istanze cui vogliamo dare voce e sia un’adeguata evoluzione dell’atteggiamento di tutti nei confronti dei bambini.

Piero Abbruzzese
 


domenica 2 giugno 2019

L'ebola come un incendio silenzioso

Funerale di una vittima dell'ebola in Africa
Da Internazionale - foto di John Wessels 

È un incendio. 

Parlo del virus dell’ebola che brucia nella Repubblica Democratica del Congo. 

Ong, associazioni, medici, persone preziose si adoperano giorno e notte per fermare l’epidemia... per paradosso dai centri sanitari. Soli. 

Dall'estate scorsa l’ebola ha provocato 1135 morti. L’organizzazione mondiale della sanità ha abbassato il dosaggio del vaccino per aiutare più persone. Invano! 
La strage continua e le vite si perdono nel vento della terra rossa africana. 

È preoccupante che medici siano ridotti a venir via per via del pericolo causato dal nascere di nuovi gruppi armati. Come dice l'Internazionale, bibbia delle notizie nel mondo, proviamo ad immaginare che i pompieri debbano smettere di spegnete il fuoco che divampa perché terribili attacchi improvvisi di jhiadisti motociclizzati vanno di villaggio in villaggio a sterminare povera gente indifesa e a rubare greggi di capre e pecore. 
Così il veleno dell’ebola corre indisturbato... tanto che il 40% dei malati muoino proprio fuori.

Ma chi parla dell’ebola in Italia?
Chi dedica una parola a questi poverini che muoiono nell’invisibilità e nel silenzio?



Stella Pende

lunedì 27 maggio 2019

Le prigioni del Sahel, di Padre Armanino

missionario con bambino africano
Come d’abitudine, ho dato il mio voto al coraggio di Emma Bonino. 

Emma, non lo so ancora, deve raggiungere il 4%…ma anche se non ce la farà resta una delle politiche e delle donne più straordinarie. Tutto il mondo ce la invidia.

Per ricordare lei e una delle battaglie che i radicali  non hanno mai abbandonato, la sorte e la civiltà delle carceri, vi propongo questo articolo di Mauro Armanino. Grande missionario in Niger. Grande giornalista.


Stella Pende




Le prigioni del Sahel

Per visitare i detenuti di Marassi a Genova i cancelli telecomandati da varcare erano sette. A Kollo, prigione a una trentina di kilometri da Niamey, le porte da passare sono appena tre. Una recinzione metallica, abbellita da un’artistica porta di ferro appena pitturata, annuncia il primo controllo dell’identità del visitatore.  Segue poi un cortile di sabbia che conduce all’ingresso della prigione. Il secondo controllo è più accurato da quando, tra i detenuti, ci sono centinaia di sospetti militanti o simpatizzanti di Boko Haram da anni in attesa di giudizio. E più ancora da quando la prigione di massima sicurezza di Koutoukalé è stata attaccata da presunti salafisti che volevano liberare alcuni compagni ivi detenuti. Si raggiungono e  passano, infine, le due ultime porte che permettono l’accesso al piccolo cortile interno di forma rettangolare. In alto, per la ronda delle guardie, appare un muretto e uno scampolo di filo spinato arrotolato, sul quale si posa il cielo.  
Ma qui e nello spazio del Sahel le peggiori prigioni sono altre. Per esempio quella della violenza disarmata di cui l’ingiustizia costituisce la fonte di approvvigionamento principale. Proprio l’ingiustizia, trasformata in fenomeno naturale o culturale, è alla radice dell’esclusione sociale della maggior parte dei cittadini del Paese. Chi non ha (denaro, beni e dunque potere) non è nessuno e la sparizione forzata di persone nel Sahel rende visibile quanto la società stava già producendo. La presa in ostaggio dell’educazione statale come luogo di trasmissione creativa e critica del sapere in funzione del bene comune data ormai da alcuni lustri. Il sistema sanitario esprime la stessa radicale selettività: solo chi ha soldi in quantità sufficiente può sperare di essere accolto, visitato e accudito. Ma è il rapimento del futuro alle nuove generazioni a costituire il peggiore reato di cui dovranno rendere conto gli amministratori della politica. Un crimine reso finora impunito. 
Invece è la violenza armata quanto, non da oggi, diventa la più visibile, assumendo abusivamente il monopolio della violenza. Quest’ultima costituisce una prigione reale per migliaia di persone. Prima di tutto per quanti continuano a perpetrare atti di morte e di terrore. Prigionieri incatenati ad una logica basata sul tradimento del fattore umano che accomuna gli abitanti di questo strano pianeta chiamato terra, casa comune per tante generazioni. E poi la prigione delle vittime, costrette a fuggire per salvarsi o occupati a seppellire i morti. Centinaia di migliaia, milioni di esserei umani costretti ad abbandonare le case, i campi e la speranza di una vita differente. Una prigione mentale e ideologica che vede nelle armi sempre più sofisticate e  soldati sempre meglio equipaggiati e preparati la chiave della vittoria finale. La prigione del pan-militarismo del Sahel è una trappola a forma di carcere nella quale siamo da tempo caduti. 
La prigione della paura è quella che, tra tutte, appare come la più subdola e pericolosa. Si è andata formando col tempo e le traversie post e neo coloniali. Una sorta di contagio che ha infettato gli intellettuali, i militanti più agguerriti, i partiti di opposizione, i sindacati e buona parte della società civile. Si è andata affermando l’autocensura del pensiero, della parola e infine dell’azione. Pochi i mezzi di comunicazione che sono passati indenni da questa triste malattia che ha espunto la verità dal proprio bagaglio di viaggio. Le complicità autoctone si sono viste confermate da strategie esteriori che sotto la minaccia economica e finanziaria hanno debellato ogni velleità di autonomia politica. Financo la religione, manipolata ad uso e abuso del potere, si è lasciata imbavagliare. Per codardia e interesse, ha venduto l’assoluto del messagio della misericordia divina che umanizza, per la stabile tranquillità di chi è al potere.  
Nel carcere di Kollo un detenuto oggi era contento perchè, dopo 15 anni, ha per la prima volta ricevuto la visita di un cugino.

Mauro Armanino, Niamey, maggio 2019