lunedì 28 ottobre 2019

Nel Sahel la chiamavano Trinità

primissimo piano di Padre Armando Armanino


Ascoltate un missionario che di immigrazione se ne intende. 
Padre Armanino vive in Niger da decine di anni e ci dice:
                                                
Questa formula è applicabile al Sahel ma non solo. La trinità in questione si è dapprima insinuata nei discorsi, poi nei rapporti ufficiali delle Agenzie Importanti del settore e infine in progetti finanziati nella messa in pratica del discorso. La lotta contro il terrorismo, il crimine organizzato e la migrazione irregolare formano, con malcelata strumentalizzazione, un trittico nel processo di falsificazione della realtà in atto da almeno un decennio. Terrorismo, crimine e migrazione irregolare costituiscono un'unica minaccia capace, a dire degli specialisti, di giustificare le misure di controllo adeguate e proporzionali al pericolo. Ed è così che si è andato costruendo un sofisticato sistema di dissuasione per migranti e rifugiati che, secondo quanto è loro rimproverato, osano cercare un futuro diverso altrove. Assimilati come sono dalle Grande Agenzie Internazionali a meri terroristi e criminali si trovano derubati in viaggio, respinti, detenuti e infine inviati nei campi di ‘rieducazione’. 
Questi centri sono chiamati, con un certo eufemismo, di libero rimpatrio dall’ineffabile e inesorabile OIM, l’Organizzazione per le Migrazioni Internazionali (Interrotte) che li crea e gestisce. Il discorso in questione è non solo diventato di patrimonio pubblico ma è presentato come un’ovvietà che solo ingenui militanti di frontiere mobili possono ancora sostenere. La prova è che tutti i finanziamenti dei progetti dell’Unione Europea nel Sahel implicano questa lettura da pensiero unico dominante. Ogni tentativo di presentare ai ‘benefattori’ un progetto a carattere umanitario che non implichi questa inscindibile trinità non solo sarà visto con sospetto ma non avrà la seppur minima possibilità di essere finanziato. 
Assieme alla trinità arrivano le sigle, incomprensibili ai più, che aiutano a realizzare quanto i locali non posso da soli realizzare. Quelli che si definiscono aiuti e operazioni di partenariato non sono in realtà che operazioni mirate di graduale ricolonizzazione di territori che un tempo si volevano indipendenti. Da FRONTEX, che significa le frontiere esteriori dell’Europa, ormai ben fissate, per quanto ci concerne, nei dintorni di Agadez, si passa co disinvoltura a EUCAP. Quest’ultima invenzione, che riprende un’impronunciabile frase in inglese, non significa altro che una missione di sviluppo delle capacità in Niger, gestita dal servizio di azione esterna dell’Unione Europea. Per entrambe le Agenzie in questione i fondi messi a loro disposizione sono aumentati e con loro anche l’operatività. Una di queste, che mira a sostenere il Niger nella lotta contro il terrorismo, il crimine organizzato e (naturalmente) la migrazione irregolare, si chiama nientemeno che CMCF.
La fantasia che non è più al potere per raccontare un mondo nuovo è stata invece confiscata dalle sigle delle Grandi Agenzie Internazionali che in questo modo creano una realtà parallela a quella reale.  La Compagnia Mobile di Controllo delle Frontiere (CMCF) che, come l’enunciato suddetto indica con chiarezza, si propone come strumento al servizio della mobilità selettiva (soldi, armi e interessi circolano mentre i poveri sono sedentarizzati). Il finanziamento arriva dalla Repubblica Federale di Germania e il Regno dell’Olanda. Questa è una delle 16 missioni che rilevano della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) che, senza alcun dubbio, contribuisce alla pace, alla stabilità e soprattutto alla sicurezza internazionale. Questo e altri miracoli scaturiscono dall’applicazione del dogma trinitario di cui sopra.  
Une delle telefonie mobili del paese ha ben capito l’antifona e, tramite un messaggio gratuito invita a…ricevere le informazioni sulla salute, l’oroscopo, l’attualità, lo sport, le astuzie, la religione e le farmacie di guardia…basta digitare il 512 nella compagnia MOOV. Ad ognuno le proprie sicurezze.

Mauro Armanino
Niamey, Ottobre 2019 



mercoledì 23 ottobre 2019

In Amazzonia preti sposati

Papa Francesco in Amazzonia
Crediti immagine di Il Fatto Quotidiano
 

A proposito del sinodo sull’Amazzonia aperto da Francesco Domenica 6 ottobre (negli ultimi 18 mesi di lavori  80.000 cittadini amazzonici sono stati consultati tra esperti, indigeni e professori) pochi si sono accorti di un dettaglio che rischia di cambiare nelle vene  più profonde il “corpo” della nostra santa romana chiesa. 

Tra le sottane rosse dei vescovi convocati per il sinodo corre infatti un venticello di voci e di rumori... il Papa potrebbe accettare, finalmente, di ordinare in Amazzonia persone già maritate affinché gli indigeni più toccati dalla tragedia della loro terra violentata da fuochi e altri veleni, possano più facilmente assistere alla messa e ricevere la comunione. 
Il vuoto di sacerdoti sta lasciando i cristani di Amazzonia soli, poveri e senza alcuna consolazione religiosa. Ma non basta! Poiché sono le donne coloro che nelle comunità cristiane indigene si danno più da fare per assistere, curare e lavorare (guarda caso) non è escluso, anzi è molto possibile, che saranno anche loro ad avere un ruolo fondamentale e di leadership nei progetti di vescovi e dei loro consulenti.  

Insomma dovevano arrivare i poveri indigeni dell’Amazzonia, doveva incendiarsi la giungla pluviale più grande del mondo, affinché il Papa Bergoglio e i suoi prelati capissero che è arrivato il tempo, nella foresta, ma pure in Italia, dove anche i preti con famiglia fossero i benvenuti. 

Non è affatto raro che nelle nostre città, nei paesi del sud, ma anche nell’alta Italia, sparuti gruppetti di religiosi, immacolati e superstiti, corrano la domenica affannati da una chiesetta all’altra per non lasciare orfani di liturgie, quei pochi e sinceri devoti che gli restano. 

Una decisione, se ci sarà, che non sarà priva di proteste e di polemiche.


Stella Pende

martedì 8 ottobre 2019

Lesbo: un inferno dimenticato

padre immigrato con il suo bambino dopo incendio del campo di Lesbo


Le tensioni tra i membri vip del governo (chi più ne ha più ne metta) hanno leggermente fiaccato le polemiche sull’immigrazione. 

Gli sbarchi continuano in Sicilia e nei porti italiani. 
Ma lo sguardo dei nostri politici non va oltre i lembi della nostra penisola. C’è infatti un fazzoletto di terra greca sul quale l’attenzione di noi italiani, in quanto tali, si accende molto raramente: l’isola di Lesbo. 

Qui nel campo profughi più grande d’Europa dopo l’incendio cattivo scoppiato una settimana fa, centinaia di famiglie si sono trovate senza cibo, senza assistenza, senza uno straccio di tenda, qui centinaia di figli si ammalano per la denutrizione, per le infezioni, per l’acqua lorda che sono costretti a bere….tutto questo nel silenzio del mondo. possiamo star zitti anche noi???



Stella Pende

giovedì 3 ottobre 2019

Sono per l'eutanasia e per la vita

eutanasia, infermiera taglia la flebo di un paziente


Come è bello e coraggioso l’articolo di Antonio Scurati sul Corriere della Sera! 
Vi invito a leggerlo e a rileggerlo.  

Vi regalo i pezzi più importanti. almeno per me. 
"Io sono per l’eutanasia perché sono per la vita”
 scrive colui che considero uno dei grandi scrittori di questo tempo.
 "Chiunque si opponga alla facoltà dell’individuo di decidere della propria vita, lo fa in nome di un principio cui quella vita viene subordinata, togliendole libertà, sovranità e libertà...
le corsie degli ospedali, lontane dai riflettori, straripano di casi in cui il moribondo è ostinatamente sottoposto a indicibili sofferenze  che devono inutilmente  prolungare ila loro sofferenza... quante volte disperati, estenuati, schiantati ci siamo augurati segretamente la morte di un padre, di un amico, di un fratello terminale e poi ne abbiamo portato il rimorso per tutta la vita!"



Stella Pende