Nel ristorante davanti alla Gare du Nord, stazione dei treni di Parigi, il via vai chiassoso dei viaggiatori ingoia il dolore di Hélene. La donna, gli occhi fitti di pianto , vince il suo pudore e racconta una storia da brividi. I terroristi dello Stato Islamico, che da anni con atroci delitti,occupano e violentano città della Siria e dell’Iraq, le hanno portato via suo figlio Raphael, adescandolo su Internet e convincendolo a partire per Raqqa, dove è morto sotto le bombe.
“Mi hanno strappato il bene più grande e adesso hanno in man anche la mia nipotina di 3 anni. Halima è nata dall’unione fra Raphael e una combattente siriana. Ma adesso come farò a salvarla dagli assassini della bandiera nera?"
Non si dà pace: “So che verrà allevata dentro la follia fanatica di quei pazzi assassini. I bambini assorbono amore e odio. Basteranno pochi anni di indottrinamento e lei diventerà la loro marionetta”.
La guardo. Questa donna mi ricorda tanto le abuelas (le nonne) dei desaparecidos argentini. Ma non è facile consolarla. Perché Hélene scopre una realtà agghiacciante e oggi sempre più vera: quella dei figli del Califfato. Da quando l’Isis proclama la sua nascita nel 2014 centinaia di bambini occidentali sono rimasti prigionieri nelle terre dell’Isis. Come è accaduto nel caso di Raphael, si tratta soprattutto di bambini nati dall’unione di combattenti stranieri ( ragazzi o ragazze europei che adescati da Daesh partono per arruolarsi nelle loro truppe) con miliziani o miliziane della bandiera nera.
Oppure, dramma forse ancor più cattivo,figli nati in Italia o in Francia, in Inghilterra come in Svezia, che, strappati alle famiglie e alla loro terra, vengono trascinati da genitori indottrinati da imam e cacciatori di anime, dentro mondi travolti dalla legge della violenza. In Italia un esempio eclatante: quello di Alice Brignoli che scappa dalla Brianza con i tre figli e poi spalma fiera su Internet le loro foto in tuta mimetica. Didascalie firmate dalla signora in persona: “questi sono i nostri figli e il nostro futuro infrangibile”.
La verità è che per tutti questi neo arruolati la vita non esiste più. Il signor Halmer, padre svedese di Gotheborg, confessa che la moglie, convertita all’Islam estremo, ha rapito i loro due figli, 5 e 7 anni, per scappare a Raqqa.
"Non ho più avuto notizie per un mese poi, rischiando la vita, la mia bambina è riuscita a telefonarmi. Papà vieni a prendermi: ho paura della guerra e anche degli amici cattivi della mamma! Diceva piangendo. Le ho detto: ci sono io amore vedrai che tutto finirà, ma lei urlava sempre di più: in classe mi chiamano Fatima e mi fanno solo pregare Allah, mentre i maschi montano e rimontano fucili ”. Il signor Halmer non ha più sentito la voce dei suoi figli. La polizia svedese ha rintracciato la loro presenza seguendo le tracce del telefonino: i bambini si trovavano in un villaggio siriano a 100 chilometri dal confine turco. Raggiungerli vorrebbe dire essere ucciso. Una minaccia che non ha fermato Almir Berisha.
“Non possono più ammazzare nessuno: io sono già morto”. E’ nella sua casa vicino a Lecco che quest’uomo dal cuore schiantato mi racconta la fuga dall’Italia verso Aleppo di sua moglie Valbona ,infatuata di un famoso terrorista serbo.
“Ha abbandonato me e due figlie per scappare col nostro più piccolo e raggiungere quel mascalzone con il quale chattava in Rete. Ho fatto di tutto per ritrovarlo” mi dice ancora "Sono entrato 2 volte in Siria pagando migliaia di euro a disgraziati sempre scomparsi. Ho attraversato da solo interi villaggi siriani minati dal terrore. E ogni volta dicevano di aver visto il mio bambino fino a poco prima. Invano”.
Guardo quest’uomo con la testa fra le mani. Deve essere terribile seguire l’ombra di un figlio e vederla sempre svanire prima di toccarla. “Vivono in mezzo al sangue e alla morte. Li crescono educandoli alla violenza finché non compiono dieci anni, poi li mandano nei campi di addestramento. Ormai usano i bambini come scudi umani, ma soprattutto come kamikaze”. Sì, come bombe bonzai.
Alla fine del 2016 un rapporto dell’Unicef diceva che almeno 27 piccoli si erano fatti esplodere in luoghi strategici. Ma quanti sono ora??? Un bambino non crede mai di poter morire davvero. Ma se il piccolo ha paura, se capisce, gli mettono addosso un esplosivo azionabile a distanza e lo fanno saltare in aria quando e dove vogliono.
Bambini dell’Isis. “Leoncini del califfato” come li descrive fiero Rumiyah, il settimanale del terrore islamico. E oggi quando kurdi e iracheni liberano genti e terre dall’Isis ,ecco che decine di piccoli innocenti vengono arruolati come combattenti per difendere le sue postazioni. Bambini usati come carne da macello a Mosul ovest, dove oggi infuria la grande battaglia. Ma anche come spie, come sguatteri, come cuochi. Senza parlare degli abusi e degli altri orrori. La verità è che se l’Isis morirà a Mosul, quel mostro rinascerà sempre come un Alien dai mille tentacoli in quelle terre sfortunate. E i cuccioli del califfato saranno per i pazzi di Allah la garanzia della continuità di quel progetto perverso che fa dell’Islam una vergogna.
Stella Pende
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