Poche righe. Righe distratte. Ultime pagine.
Cosi si comportano in massima parte giornali e televisioni italiane davanti alle violazioni potenti dei diritti umani che, complice il Covid, passano in questi mesi in sordina. Violazioni e violenze che, guarda caso, riguardano sempre e comunque gli attori coraggiosi di ONG, di associazioni, di gruppi che, contro i governi dittatoriali, appoggiano i bisogni, le sofferenze e l’ingiustizia subita dai fragili del mondo.
Poche righe per raccontare la prigionia di Zhag Zhan, giovane blogger e avvocata, condannata a 4 anni di carcere.
Nel gennaio 2019 Zhag è stata la prima ad atterrare a Whan per “documentare” gli strani casi di polmonite che uccidevano gli abitanti della città. Per settimane l’attivista ha raccolto le voci di quei poveretti, dei signori delle pompe funebri, di medici e infermiere e infine quelle dei virologi per diffonderle su YouTube. Le sue inchieste hanno aiutato i cinesi a scoprire una crisi inedita e terribile molto lontana dall’allora narrativa ufficiale. Dalle sue righe affiorava una non velata critica al governo che avrebbe dato poca importanza alla pandemia, che aveva avvisato i suoi cittadini con molto ritardo... Cercava la verità Zhag e aveva raccontato che la tragedia del suo paese era quella di aver subito una reazione di minaccia e di intimidazione da parte dei suoi governanti. Una ricerca del vero che le è costata la devastazione. È arrivata in aula in sedia a rotelle, pallida, sconvolta e il suo avvocato si è appellato al Consiglio ONU per i diritti umani.
Da domani nessuno parlerà più di lei.
Brandelli di righe per dire che Theran e i suoi aguzzini I'hanno attaccato a una corda, cioè impiccato, il giornalista dissidente Ruhollah Zam. Il suo blog Amad News era seguito da oltre 1,4 milioni di persone. Perché? Perché circa tre anni fa il portale aveva dato voce alle numerose proteste e manifestazioni esplose contro il carovita a Mashad... Zam dettava ore, luoghi e tempi di ogni manifestazione, diventata un urlo di denuncia contro il regime infrangibile e feroce degli ayatollah. Per questo peccato, a quanto pare mortale, il nostro collega è stato giustiziato dal boia. Prima di ciò è stato, naturalmente, torturato e obbligato ad apparire alla televisione nazionale confessando il suo pentimento per aver tramato contro i signori di Theran. La cattura di Zam è ancora nebbiosa. Dopo essersi nascosto a Parigi e aver continuato a pubblicare notizie e scandali nel suo paese, Ruhollah viene arrestato in Iraq dove lo attendeva, pare, una trappola...
E ancora e ancora... a poche settimane da questo orrendo crimine, assistiamo alla lunga, e di certo ingiusta odissea di Patrik Zaky, attivista e ricercatore dell’università di Bologna arrestato il 7 febbraio scorso e ancora oggi blindato in una cella egiziana. La sua colpa? Quella di aver diffuso false informazioni, ma soprattutto di aver promosso proteste e manifestazioni non autorizzate.
Stessa accusa. Stesso copione.
Usati, come fotocopie di killer consumati, dai preti barbuti iraniani come dal presidente egiziano Al Sisi che, non contento di aver fatto torturare e ammazzare Giulio Reggeni, continua a violare il diritto di difesa di ogni cittadino. La ragione è semplice. Al Sisi sa che i governi europei, democratici e garantisti, non compiranno mai vere e definitive azioni di ribellione nei suoi confronti. Al proposito ricordo che i giudici di Roma hanno appena dimostrato la colpevolezza (due testimoni lo hanno provato) dei militari egiziani nell’assassinio di Giulio, ma l’Italia non ha ancora fatto ciò che un governo ferito a morte doveva fare: ritirare l’ambasciatore italiano dal Cairo.
La spiegazione di tale comportamento non verrà mai svelata.
E se accadrà saranno ancora una volta poche righe.
Stella Pende
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